Storia di Boca

Storia di Boca

Lo stemma di Boca, come si evince dal R.D. 22/2/1930 e' cosi rappresentato:
"di rosso ad un monte di tre cime di verde, ricoperte di neve sormontato
da tre ruote d'oro male ordinate 2 e 1". Ornamenti esteriori da Comune.


E’ un piccolo, tranquillo paese della provincia di Novara, a m.t. 389 d’altitudine, a cui fanno da sfondo le colline, coltivate a vigneti o boscose, dietro le quali si intravedono alcune cime delle Prealpi e delle Alpi. Ma la sua fama ha oltrepassato i confini della provincia, oltre che per i vino, anche per merito del monumentale Santuario, opera insigne dell’architetto Alessandro Antonelli, nel quale si venera una miracolosa immagine del Crocifisso. Durante tutto l’anno, specialmente da Maggio a Settembre, il sacro luogo è visitato da migliaia di pellegrini, che vengono anche da molto lontano. Il centro del comune si estende ai lati della provinciale Prato Sesia / Borgomanero, mentre un tempo si raggruppava intorno alla chiesetta di San Gaudenzio, una delle più antiche della zona, attualmente racchiusa nel recinto del Cimitero. Ha diverse frazioni: Cascina Bell’Aria, Baraggia, Piano Rosa, Borzighella, Ronchetto, Marello Fuino, Santuario e Montalbano la più antica. La fascia collinare dove anche Boca è situata è stata una delle prime località della zona ad avere insediamento stabile di gruppi etnici, dediti ad attività lavorative ed agricole, quando ancora, sulla pianura verso Novara e Vercelli, si estendeva una grande foresta, con zone ricche di vegetazione ed altre paludose, popolate da una fauna abbondante, composta anche da animali feroci di grossa mole, come orsi cinghiali, stambecchi e cervi dalle grandi corna. I primi abitanti della zona furono i Liguri, che si estesero in ampie zone dell’Italia settentrionale. Ad essi subentrarono, nel V secolo A.C. i Celti, tribù di origine Gallica, che temporaneamente sconfitti e soggiogati dalle legioni romane del console M. Claudio Marcello, nel 222 A.C. riacquistarono la libertà al tempo dell’invasione di Annibale, nel 217 A.C. ed in seguito, si arresero definitivamente ai Romani, quando comandati da C. Mario, sconfissero e sterminarono i Cimbri, popolazione barbarica di origine germanica, che erano calati nelle valli alpine. La decadenza dell’Impero Romano di Occidente e le invasioni barbariche cancellarono tutti gli sforzi dei tenaci colonizzatori romani e le nostre terre furono invase da orde fameliche di popolazioni rozze ed incivili. Al loro passaggio rimanevano: case distrutte, campagne spopolate, raccolti devastati, terreni non più fertili per lo spargimento di sale, carestia e malattie. I contadini atterriti per salvarsi fuggivano verso i monti. Una relativa tranquillità ritornò attorno al 600 d.C. con l’avvento dei Longobardi che, divenuti padroni indiscussi dell’Italia Settentrionale, si proposero di riportare il lavoro nelle campagne rimaste per molto tempo incolte. Non si sa molto del periodo Medioevale, essendo andati distrutti in un incendio sia l’archivio della Parrocchia che quello del Comune, ma è logico che Boca abbia seguito le vicende dell’Alto Borgomanerese. Tutta la comunità che comprende anche Muzano, piccolo centro ora annesso a Maggiora, fu alle dipendenze dei Conti di Biandrate che nel 1217 la cedettero ai Vercellesi che poi la concessero in feudo ai Signori Gozzo, Ottone e Corrado di Biandrate. Al principio del 1500 passò ad Anchise Visconti di Aravano, Signore di Elogio Castello e di Castelletto Ticino. Poi per tutto il secolo XVI e oltre la metà del XVII, venne palleggiata tra questa e quella famiglia di feudatari, fino a quando, con diploma del Gennaio 1697, ne fu investito il Marchese Ferdinando Rovida e a questa famiglia rimase per tutto il restante periodo dell’epoca feudale, tanto che sullo stemma adottato dal Comune, figurano tre ruote, emblema del casato. Dalle cronache di Pietro Azario si apprende che il paese era munito di un castello, distrutto dai Ghibellini nel 1311, il luogo ove sorgeva si chiama ancora regione Castello. Non rimangono ruderi ad attestarne la precisa ubicazione ma i viticoltori, nel fare gli scassi per i loro vigneti, hanno rinvenuto vari oggetti che testimoniano la veridicità della notizia. Si può poi ipotizzare che anche tutto il materiale demolito sia stato utilizzato dai contadini per costruire muretti a secco nei vigneti e per le loro abitazioni. Boca subì in seguito, la dominazione spagnola ed austriaca, per poi passare alla casa Savoia, salvo per la breve parentesi della conquista napoleonica.

La popolazione, prima della seconda guerra mondiale, era formata quasi esclusivamente da contadini dediti prevalentemente alla coltivazione della vite. Poi lentamente col sorgere in paese di qualche piccola industria, mineraria per estrazione di argilla, con maggiore comodità dei mezzi di trasporto i giovani preferivano esercitare una professione o un mestiere, piuttosto che dedicarsi all’agricoltura, molti giovano hanno poi preso la via dell’espatrio in Francia, Svizzera ed in America, lasciavano agli anziani questa attività. Fino alla seconda guerra mondiale la vite nella nostra zona resisteva ancora, tutte le colline erano quasi completamente coltivate. Lo sviluppo industriale nel Borgomanerese, la facilità dei mezzi di trasporto, il lavoro meno faticoso e più remunerativo ha attratto tutti i giovani ed i vigneti sono stati abbandonati. Il bosco ha preso il sopravvento, l’acacia ha invaso tutto il territorio, cambiando anche il microclima che si era instaurato nella nostra zona collinare.

Ora, si registra un notevole ritorno alla viticoltura con nuovi e più razionali impianti. Ogni anno si vedono nuove piantagioni, si spera di recuperare anche nuova occupazione e qualche giovane incomincia a coltivare la vite con le caratteristiche richieste per la produzione del vino D.O.C La vinificazione è notevolmente migliorata, la denominazione d’origine ha dato un impulso alla qualità del vino ed alle vendite oggi più remunerative. I nostri vigneti sono ora presenti prevalentemente nella zona di Montalbano, delle Piane, lungo la strada provinciale della Traversagna (Boca - Grignasco) inseriti nel Parco del Monte Fenera .


Boca e le sue origini (il testo seguente e' tratto dal sito : che si ringrazia )
Su una ramificazione di colline dalle Alpi Pennine vanno degradando e perdendosi nella pianura novarese, in posizione ridente, per grandiosità di ondulazioni, per amenità di prospetti, per belleza di sinusità, siede BOCA. Il paese è fiancheggiato da due piccoli torrenti che sgorgano dai colli circostanti : quello che scorre verso sud si chiama Riale e dopo breve corso si unisce all'altro, di nome Strona (voce derivata dal celtico, Stora, cioè fiume, acqua, torrente, o Storen, che significa muoversi con impeto, precipitarsi : vocaboli che mantengono la significazione dell'antica lingua teutone. Il nome è puramente un appellativo generico : infatti vi sono molti torrenti con questo nome), che scende da nord. E' circondato da incantevoli vigneti, ma più in su, oltre i 500 metri, la collina è ancora rivestita da folti boschi cedui, quasi a completare l'aspetto di un grande giardino che gli fa corona.
Boca è un piccolo comune in territorio novarese, limitato a est dal comune di Cureggio, a sud da Cavallirio, a ovest da Prato Sesia e Grignasco, a nord-ovest da Valduggia e a nord-est da Maggiora. L'origine di Boca si perde e si confonde con l'origine dei popoli che nei tempi preromanici vivevano nelle regioni attorno a Borgomanero e al Lago d'Orta, costretti ad abitare su palafitte nei piccoli laghi che allora esistevano. Nell'età posteriore gli eventi di Boca furono comuni a quelli di Cavallirio e di Cureggio, che conservano splendide pagine del periodo della dominazione romana e serbano memorie preziose di quell'epoca importante e di quelle immediatamente successive. Da queste memorie si apprende che i numerosi popoli invasori dell'impero romano hanno qui dominato ininterrottamente e che questi luoghi furono spesso campi di battaglia fra le diverse genti che si disputavano il suolo della fertile regione.
Il nome BOCA fa supporre, anche secondo la tradizione locale, che sia derivato da "bocca di lago" e - in base a tale ipotesi - da quel lago che, formato dalle acque del Sesia, era situato dove ora è Prato Sesia che in tale località esistesse un lago ne hanno fatto menzione il Fassola nella sua "Storia manoscritta della Valsesia" il Bescape nella sua "Novaria sacra" e il Giudice Ottone nella sua "Storia antica della Valsesia" non concordano però sul modo in cui scomparve questo lago : il Fassola scrive che fu fatto prosciugare dalla regina Corduba, essendovi annegato il figlio ; il Bescape, che si riempi de sé per il rotolamento dei sassi ; il giudice Ottone dice che fu opera dei Romani. Per questo nelle carte antiche Boca è chiamata in latino Bauca, benché sovente si trovi pure il termine Bochae. Potrebbe anche indicare la Bocca della Traversagna, ossia il passaggio dalla valle di Grignasco alla valle dove ora è il Santuario del SS Crocifisso.
Anticamente il paese non era situato nella regione occupata ora, ma più in alto,verso i colli, nella regione di Vendri o Venero, dove infatti sorge ancora sopra un piccolo colle l'antica chiesa preromanica, accanto alla quale è sorto poi il cimitero di Boca. Allora il paese era costituito tre territorii : Boca propriamente detta, Piazo e Muzano. Successivamente, essendosi staccata da Muzano una sua piccola frazione, detta Mazoria (l'attuale Maggiora), si andò a poco a poco dimenticando il nome di Muzano e sopravvisse quello di Maggiora. Anche il nome di Piazo (situato dove ora è Boca) fu sostituito più tardi da quello di Boca, essendo gli abitanti di questa frazione emigrati a Piazo (1342)(Casalis, Dizionario geogr.-storico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna. De Vit, Memorie storiche di Borgomanero e...suo mandamento, pp.94-95 - Morbio, Saggi,II, p.84).
Un po' di storia. Il paese è dunque antichissimo e la Corte di Boca è già nominata dal vescovo Adalgiso nell' 840, nelle sue disposizioni testamentarie a favore della Chiesa Maggiore di Novara. In seguito (1152) Boca fu citata nel diploma dell'imperatore Federico Barbarossa, col quale donava a Guidone conte di Biandrate il comune e il castello. Fu pure citata nel 1196 nel diploma dell'imperatore Enrico VI rilasciato ai conti di Biandrate per la stessa donazione (Antiche carte dell'Archivio di S.Maria di Novara). Il castello di Boca, situato nelle vicinanze di Monte Albano (è questo il più bel luogo dei dintorni : durante la dominazione spagnola vi fu edificata una bella costruzione con terrazze digradanti, in mezzo a colli coperti di vigneti, su un ridente poggio difeso a nord dai monti. Appartenne ai conti Barbavara ; passò poi alla famiglia Parruconi che vi fece erigere un oratorio dedicata a S.Marco ; passò quindi ai conti Tornielli. Qui si raccoglie il vino migliore della zona e si distinguono - nelle giornate limpide - i laghi d'Orta, del Verbano, di Varese e il tortuoso corso del Sesia, le città di Novara e Milano, e inoltre i colli di Tenda e i monti del genovese), dove ora è il casino di caccia del Col. Zoppis, venne poi distrutto, secondo quanto afferma l'Azario nella sua Cronaca, durante la lotta tra i Torriani e i Visconti, unitamente a quelli di Gattico, Vergano, Marzalesco e Maggiate. Il primo ad avere la Signoria di Boca fu Lumellogno Ildeprando (Guasco, dizionario feudale degli antichi stati sardi e della Lombardia, Pinerolo 1911), ma poi a suo figlio Riccardo, conte d'Ossola, tale Signoria venne confiscata dall'imperatore Arrigo I. Questa confisca fu confermata dall'imperatore Corrado, che il 10 giugno 1025 donò Boca al vescovo di Novara, il quale tuttavia non poté entrarne in possesso per l'opposizione di Riccardo II, figlio di Riccardo conte d'Ossola. In seguito, una sorella di questi sposò Guido I, conte di Pombia, che il 4 luglio 1070 cedette al figlio Alberto di Biandrate la signoria di BOCA. Questa passò poi, fra varie vicende, ai discendenti Gozio, Ottone, Corrado e Opizzone - come risulta da un notaio Bentivoglio - e sucessivamente a brevi Signorie di famiglie di BOCA e dintorni, fra cui quella di Raschenus de Bocca, che fu uno dei firmatari della Convenzione fatta tra i Novaresi e i Conti di Biandrate, nel 1202 (Manoscritto e pergamene nell'Archivio di S.Maria a Novara - DE VIT, o.c. p.218). Il 23 luglio 1402 Giovanni Galeazzo Maria, duca di Milano, infeuda della Signaria di BOCA Francesco Barbavara, conte di Pietre Gemelle, al cui figlio però il duca Filippo Maria lo toglie per infeudarne (15 aprile 1483) Luigi Terzaghi. Sul principio del secolo XVI fu investito del feudo di BOCA Anchise Visconti d'Aragona, signore di Oleggio Castello e di Castelleto sul Ticino, uomo illustre per valore militare e per il senno rivelato nel maneggio di alti affari. A lui, per la prima volta, gli uomini di Boca fecero giuramento di fedeltà il 24 giugno 1514, rinnovato il 16 maggio 1524, come consta da un istrumento di Andrea Piantanida e come pure da un atto rogato da Cristoforo Ragazzini. Sul finire dello stesso secolo XVI si trovano qualificati come Consignori di BOCA i Signori Francesco Bernardino e Gio Angelo, fratelli Viscardi. La signoria passa quindi alla Camera di Milano che la vende a Ferdinando Rovida che viene creato Marchese di BOCA il 15 settembre 1675, con titolo trasmissibile al primo figlio maschio MANNO (Dizionario feudale degli antichi Stati continentali della monarchia di Savoia, alla voce BOCA). Con l'abolizione dei feudi, in seguito alla rivoluzione francese, BOCA passa sotto il mandamento di Borgomanero.


COGNOMI STORICI DI BOCA - presenti in atti dall'anno 1666
Ardizzoli, Balzano, Barbaglia, Bisetti, Buratti, De Rubeis, Del Boca, Erbetta, Farinoli, Moscotti, Poletti, Oldrati, Rovarino, Sartore, Sinistrari, Vallazza, Verzotti


LA VITICOLTURA A BOCA E NEL NOVARESE La vite, vanto dei nostri agricoltori, è per noi coltura antichissima. Già veniva coltivata nella nostra zona prima della colonizzazione romana in modo poco razionale, con vitigni poco adatti, a noi sicuramente non pervenuti , come pure la vinificazione. Il vino veniva consumato con aggiunta di miele ed altri aromi, forse per mitigarne l’acidità. Plinio nel primo secolo dopo Cristo (Historia naturalis, lib XVIII,cap25 n°48) criticava la produzione vinicola del novarese. (Il nostro clima non permetteva sicuramente la coltivazione della vite come nella zona di Roma.) Scriveva (da Novariensis Agricola) “l’agricoltore novarese non pago della molteplicità dei tralci da stendere, ne della quantità dei rami, avvolge ancora i tralci ai branconi positivi; e così anche per i difetti del terreno, e a causa della coltura i vini divengono aspri “. In quel periodo solo i nobili e le classi dirigenti avevano l’ambizione di colture specializzate per migliorare il prodotto. Solo i ricchi potevano dedicare tanta cura alla vite. La massa contadina si preoccupava più della quantità, che della qualità, e i tralci sugli alberi venivano così irrazionalmente aumentati al massimo. Fu in seguito alla colonizzazione romana che si diffuse la potatura della vite da noi. Il nostro vino migliorò talmente da venire usato come moneta e divenne una fonte sicura di reddito favorendo lo stanziamento della comunità agricola. Esso fu portato verso zone sempre più lontane e giunse con un viaggio lunghissimo, prima per via terra sino in Liguria e poi con navi, sino a Roma ove fu molto apprezzato sulle mense patrizie. I carri, che percorrevano una strada malagevole e pericolosa, al ritorno trasportavano dalla Liguria il sale.
La vite continuava però ad essere coltivata col sistema ad “altena” cioè attorcigliata agli alberi di castagno che a Boca abbondavano. Raggiungeva grandi altezze e la vendemmia veniva effettuata usando lunghe scale e così pure “l’exgarzolatura “ dei tralci inutili. Era un lavoro non privo di pericoli e molto faticoso. Furono i monaci Benedettini di S. Nazaro Sesia che insegnarono per primi verso l’anno mille circa a coltivare la vite attaccandola a pali conficcati nel terreno, dapprima a fila semplice, poi in doppia fila sostenendo i tralci con bastoni posti di traverso (sistema a pergolato o topia). Metodo sicuramente migliore rispetto all’attorcigliamento sugli alberi, ma spesso le coltivazioni venivano danneggiate dai venti durante i temporali che abbattevano i pali di sostegno delle viti. Sempre i monaci, in età alto-medioevale introdussero presso i nostri viticoltori una precisa tecnica di coltivazione: la diffusione delle viti per propaggine e per talea e più di tutto una razionale potatura, migliorando nel contempo le tecniche di vinificazione.
Già nel 1300 il nobile cronista novarese Pietro Azario celebrò il nostro vino come: "Rinomato sin dall’antichità” Molti furono come si vede i sistemi adottati dalle nostre genti nella coltura della vite, ed essi mutarono gradualmente nei secoli perfezionandosi nei metodi di coltivazione e nelle qualità dei vitigni. Il commercio si sviluppò nel secolo XVI, verso Novara e il Vescovo di Novara Carlo Bescapè era tra i migliori clienti. Per opera del Cardinale Mercurino da Gattinara venne introdotto alla corte di Carlo V. S’incominciò anche all’esportazione, a dorso di mulo, in Svizzera con botticelle da soma di litri 22 attraverso i valichi montani del Sempione e del passo San Giacomo. Nel XVII secolo si incominciò la pratica della “roncatura” ossia la formazione di veri e propri vigneti regolari a linee trasversali al pendio, terrazzato nelle pendenze più forti con muretti di sasso a secco. I pali di legno verticali, sotto la spinta del vento, non sempre reggevano il peso dei tralci carichi di uva e talvolta crollavano trascinando nella loro rovina i grappoli maturi.
Fu l’Architetto Alessandro Antonelli di Maggiora, geniale costruttore di miracoli di statica muraria come la Mole di Torino, la cupola di San Gaudenzio di Novara e del nostro Santuario, a trovare una soluzione pratica, egli per primo, sfidando la diffidenza dei viticoltori locali studiò “la campanatura” dei pali di sostegno, ossia mise quattro o sei pali per piede di vite obliqui in modo che la loro inclinazione verso l’interno compensasse la forza traente dei tralci carichi di uva, ottenendo una situazione di equilibrio. Tale sistema da noi ancora usato nei vecchi vigneti viene chiamato “quadretto maggiorino" o più in breve "maggiorina".
 
La situazione politica risorgimentale ebbe ripercussioni anche nella nostra viticoltura, quando al tempo di Carlo Alberto, l’Austria rincarò il dazio per l’importazione dei vini piemontesi in Lombardia, chiuse in pratica questo tradizionale mercato ai nostri produttori. Per fortuna la crisi della viticoltura in Francia, susseguente alla guerra del 1870 aprì un forte sbocco ai nostri vini oltralpe. Ora il nostro vino comincia ad essere apprezzato in tutto il mondo e favoriti dalla meccanizzazione, stanno sorgendo sempre nuovi impianti cambiando ancora una volta il volto dei nostri vigneti.
Ora si coltiva la vite a “spalliera“, più comoda per la lavorazione con le macchine. Per sostenerla si usano pali in cemento ben ancorati al terreno che resistono al vento ben allineati. I più moderni metodi di vinificazione, la scelta delle uve, la sgranatura, la fermentazione più controllata, la pulizia delle botti, i frequenti travasi, la colmatura delle botti e soprattutto la grande pulizia in cantina, permettono di ottenere prodotti più sani, invecchiati tranquillamente nelle cantine a temperatura quasi costante e imbottigliati al momento più opportuno per soddisfare il palato dei più sofisticati ed esperti clienti. Il controllo sulla produzione ed il disciplinare del vino DOC danno poi la sicurezza della qualità e della genuinità del prodotto.
"...Or dunque rimane provato che le colline del Novarese possono
gareggiare coi colli della Borgogna..."

CAMILLO CAVOUR- Lettere edite ed inedite

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